“No more trouble” di Matteo Romanelli è un docufilm prodotto da Teorema studio – Indingo film diffuso nel 2024, della durata di 97 minuti. Focalizzandosi sulla perdita in mare di Andrea, padre del regista, racconta la storia dell’Open 60 “FILA” e del suo equipaggio, di cui questi faceva parte, ma ci fa anche conoscere la vela oceanica di fine millennio e ci porta nell’intimità della vita familiare dei due Romanelli.
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L’impostore!
Mi trovo sempre fuori posto a queste proiezioni. Quando partecipo a eventi a tema montano, non mi sento un vero escursionista, quando invece l’argomento è la vela, non mi sento un marinaio. Sarà che non svolgo nessuna delle due attività in modo costante, né posso dire di padroneggiarle. Tuttavia, sono comunque invogliato a essere presente, perché ripasso concetti tecnici, vedo immagini entusiasmanti, spesso si condividono con gli altri spettatori belle sensazioni e sentimenti edificanti.
Questi ultimi, dunque, sono i motivi per cui lo scorso 25 febbraio ho partecipato alla serata Farneselive, al cinema “Farnese” a Roma, in occasione della quale il regista Tommaso Romanelli, al termine del docufilm, ha dialogato con Fabio Colivicchi, direttore di Saily.it.

La classe Mini650
Qualche anno fa mi ero appassionato a seguire i Mini650 e sul sito italiano della Classe Mini c’erano le biografie dei partecipanti alle varie edizioni. Ho conosciuto così la figura di Andrea Romanelli, insieme a quelle di Mauro Bossi e Roberto Varinelli.
Mi affascinavano l’avventura relativamente low budget, l’averla vissuta armando una barca vintage, il concreto rischio affrontato.
Ho trovato la notizia dell’assegnazione di un Trofeo Andrea Romanelli per il primo Prototipo classificato, riconoscimento istituito nel 2000 in memoria del grande “minista” scomparso in mare nel 1998. Nonostante ciò, non ho individuato ulteriori informazioni.

La trama
L’Open 60 “FILA” (battezzato “No More Trouble” dalla canzone di Bob Marley) comandato da Giovanni Soldini e con a bordo Guido Broggi, Bruno Laurent, Andrea Tarlarini e Andrea Romanelli, impegnato nel tentativo di conquista del record sulla rotta atlantica New York-Cape Lizard, incappa in una burrasca forte, con raffiche di 80 nodi e onde di 25 metri. Quando il record sembrava ormai in tasca, nella notte del 3 aprile 1998, al largo delle coste francesi sulle coordinate 47°47’ N 13°50’ W, FILA scuffia lasciando disperso in mare il 34enne ingegnere Andrea, che ne era anche il progettista. Seguono inchieste e polemiche, la sua vedova Fabrizia Maggi e il figlio – che nel 1998 aveva solo 4 anni – avranno bisogno di tempo per trovare serenità nel lutto.
È un film di vela, ma sembra quasi un “legal movie”, coi testimoni chiamati in causa: il titolo completo del docufilm è “No More Trouble – Cosa rimane della tempesta” e serve a fornire anche questa chiave di lettura.

La proiezione al cinema Farnese
Non tornavo al cinema Farnese da un bel po’ di tempo: ricordo di aver assistito qui alla proiezione di un’altra pellicola a tema velico, “All is lost”. Anche in “No more trouble” di Matteo Romanelli si parla di un incidente in mare, chiave di volta di un processo di crescita e maturazione. Ma di chi? Chi è il vero protagonista? Senza dubbio, “Romanelli”. Il padre, Andrea, e il figlio Tommaso, sembrano trovarsi in un rovesciamento dei ruoli, quando il primo è raccontato dagli intervistati – moglie, fratello, compagni di barca – ma conosciamo anche il secondo, che racconta se stesso nei dialoghi da intervistatore, apparendo anche in numerose sequenze.

Aneddoti e dettagli
Alcuni dettagli vengono poi aggiunti alla storia all’inizio e al termine del docufilm, quando Fabio Colivicchi, direttore responsabile della rivista on-line Saily, oltre a presentare la pellicola, intervista con entusiasmo Matteo, i produttori del film e gran parte della crew, coinvolgendoci con l’aspetto più intimo e amicale della realizzazione, ascoltando aneddoti di momenti della lavorazione.
In chiusura di presentazione, Giulio Pampiglione ha letto una breve memoria dedicata ad Andrea Romanelli da un suo amico, che non si è mai presentato personalmente a Matteo. Il momento è stato toccante, ma il regista ha quasi rimproverato l’autore dello scritto, poiché sentire di persona le stesse parole appassionate, magari in intimità e non in pubblico, gli avrebbe sicuramente fatto piacere.

Un terzo protagonista
Rispetto a molti altri docufilm biografici che ho raccontato su questo blog (Pasang, Jurek, Sfida per la vetta), lo stile è più coinvolgente proprio per la presenza di questo “doppio protagonista”, anzi, potremmo dire che ce n’è un terzo: il Mini 650 American Express, con cui Andrea prese parte all’edizione 1993 della Mini Transat arrivando settimo.
Rimasto in disarmo su un carrello per vent’anni nella disponibilità di suo fratello Marco, il prototipo, che nel 1979 aveva vinto quell’edizione della Mini Transat, nei quattro anni necessari a girare il film diventa uno strumento di riconciliazione col passato, mentre Matteo vi lavora con lo zio per riportarlo in condizioni di navigabilità. Probabilmente sarà varato in primavera a Monfalcone: la famiglia di Andrea era composta da velisti, adesso ce ne sarà qualcuno che torna in mare.
Le fonti di “No more trouble” di Matteo Romanelli
Si potrebbe pensare che le fonti per scrivere la sceneggiatura di “No more trouble” fossero facilmente reperibili. In effetti, tutti i testimoni della vicenda sono ancora in vita e Andrea, negli anni di regate in solitario o in equipaggio, aveva registrato numerosi VHS, rimasti su uno scaffale in casa di Matteo, il cui ritrovamento ha fornito al giovane regista lo spunto per lanciarsi nell’impresa cinematografica.
Le suggestive scene girate in alto mare sono spesso accompagnate dai dialoghi, o dai monologhi, di Andrea, scherzando coi compagni o pensando alla moglie e alla vita a terra.
Quest’ultimo aspetto, in particolare, introduce una dimensione introspettiva della navigazione, evidenziando il desidero di condivisione con gli affetti di quanto stava vivendo.

Una riflessione
Una riflessione da appartenente alla Generazione X: la corrispondenza tra la cassetta fisica e il contenuto – Matteo cita le etichette sul dorso – oggi ci porta a pensare al nome di un file. Saremmo però riusciti a trovare in un vecchio hard disk ciò che Matteo ha portato sullo schermo? Non vorrei sembrare pessimista, ma ne dubito: i file sono incorporei, soggetti al cambio di codifiche e, anche se masterizzati su un supporto fisico in maniera amatoriale, la conservazione è tutt’altro che garantita.
Su questo aspetto è altrettanto interessante l’uso di foto d’infanzia e gioventù di Andrea e della famiglia, dai caratteristici colori sbiaditi, gli stessi della pellicola 8mm su cui il nonno di Matteo impresse scene di famiglia, tra cui i tre figli al mare da bambini, in particolare Marco e Andrea, in deriva.

Una vela “analogica”
Oltre alle fonti video e foto, c’è qualcos’altro di analogico nel docufilm “No more trouble” di Matteo Romanelli. Si tratta della pratica della vela, quella di “American Express”, della regata Québec Saint-Malo cui partecipò, quando in pozzetto oltre all’acqua salata c’era il vomito da mal di mare e ci si bagnava nei pantaloni della cerata.
La carriera di Andrea era cominciata ai cantieri Tencara, quando ebbe l’intraprendenza di chiedere di partecipare alla progettazione del Moro di Venezia, per poi passare a Parigi allo studio di Jean-Marie Finot, dov’è nata FILA.
Per fare al meglio l’ingegnere e il progettista doveva navigare, dichiara Soldini, per il quale l’incontro con Andrea è stato preziosissimo.

Regia e tecnica
Romanelli cercava un senso profondo in quello che faceva e adesso il figlio ha trovato verità e pace.
Le scene finali ricollegano inizio e fine, con l’esperienza di navigazione di Andrea, la matericità della barca e della pellicola del nonno, proiettata dopo anni e vista insieme allo zio, che può essere metafora del suo futuro professionale.
Gli intervistati
Le interviste non sono state preparate, Matteo ha incontrato per primo Giovanni Soldini, al comando di FILA al momento dell’incidente. Con lui, però, la madre di Matteo aveva parlato a lungo. Andrea Tarlarini (che era in pozzetto con Romanelli al momento della scuffia) e gli altri, invece, era la prima volta che sentivano quelle domande. Come precisato da Matteo, ‘idea era fare interviste lunghe perché si cercavano risposte spontanee, vere, e in effetti dallo schermo traspare sincera commozione da parte di tutti quelli con cui Matteo ha parlato, anche perché alcuni di loro lo hanno fatto nel capannone dove attualmente FILA è in disarmo.

L’equipaggio a terra
Tra gli intervistati nel docufilm ci sono anche i progettisti con cui Andrea aveva lavorato, Jean-Marie Finot, Pascal Conq, Guillaume Verdier, ma anche il meteorologo Pierre Lasnier, che espone le scelte di routage fatte.

Con distacco
Solo lui, il regista, sembra invece rimanere distaccato, benché ciò sia oggettivamente impossibile: al suo atteggiamento dietro la camera da presa hanno sicuramente contribuito i 4 anni trascorsi dalla prima intuizione all’uscita in sala del docufilm, il suo sogno irrealizzato (insieme a quello di essere regista), di cui sentiva il bisogno, anche se si è rivelato un processo molto difficile. Non aveva rapporti con nessuno presente nel film, a parte la madre, e ora ha riallacciato tutto.
La tecnica registica
Tecnicamente, il docufilm è stato tutto girato con una sola camera nonostante l’opposizione della produzione. Il risultato è commovente: come detto nelle interviste in sala dal produttore della Indigo, il film meritava di essere raccontato.
Il documentario è denso di musica, più di tanti altri, e questo gli dà valore. D’altronde, non poteva essere diversamente visto che anche FILA era stata battezzata “No more trouble” dalla canzone di Bob Marley!
Chissà se, a livello professionale, Matteo riuscirà a trasmettere ancora allo spettatore queste sensazioni, quando non sarà coinvolto direttamente?
Il Trailer di “No More Trouble”
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